ECCE HOMO testi e traduzione
Tra la chiesa di Sant’Agostino e San Paolo, c’era il luogo deputato al Calvario. Lì, ogni Venerdì Santo, si metteva in scena la crocifissione di Gesu’. Noi bambini venivamo portati a forza a vedere questo macabro rito. Un manichino realistico in ogni aspetto, coi capelli di stoppa al vento, doveva essere inchiodato e deposto.
Niente scuse, le tradizioni son tradizioni e si rispettano, e c’è chi ancora si fa esplodere per rispettarle. Comunque, con ancora la confusione nella mente, poiché avevamo visto ben più intriganti pupazzi nel carnevale di qualche mese prima, io e il mio compagnetto di scuola ci chiedevano perché di quell’imminente carnevale triste. Uno era allegro, l’altro funereo, salvo poi la domenica diventare nuovamente allegro con la sfilata di musica festosa e altre danzanti statue, madonne, arcangeli e diavoli.
Quaranta giorni dopo la Pasqua vi era poi un'altra seducente festa con ancora dei pupi a rallegrare ma anche intimorire noi bambini. Era la festa della Sceusa, ossia l’Ascensione. In realtà io ne avevo una paura fottuta. Al mattino sfilavano per il quartiere antico una notevole quantità di ovini da far apparire innevati gli stretti vicoli, tanto era candida la loro lana. Le capre addobbate di campanacci e nelle corna fiocchi viola e neri, procedevano lente e mortuarie producendo un suono sinistro. La sera, come se sapessero, da qui il loro scampanio afono e il belare lamentoso, giungevano al macello.
Al centro delle principali piazze, davanti alle chiese, venivano addobbati degli spaventapasseri estremamente realistici anche loro e bruciati "vivi" in un rogo d’altri tempi. Era evidente un sincretismo di elementi evocativi che mischiava paganesimo, satanismo e cristianesimo. Capre demoniache sacrificali e roghi a memoria di antiche streghe e filosofi inceneriti dalla bontà divina. Erano lontani per me i tempi della televisione bim bum bam. Su questi roghi poi, come fosse un rito di iniziazione, vi si doveva passarci attraverso con un salto da oplita olimpico. Dovetti parteciparvi anch’io, a sette anni d’età sei già un uomo e devi dimostrare alla tua tribù il tuo valore. Ed ecco che puntualmente, nel patetico tentativo di mostrarti impavido, ti sbucciavi le ginocchia, i palmi delle mani e il mento se arrivavi dall’altra parte steso con la faccia che striscia a terra, ma non si poteva rischiare l’insignificanza sociale.
Un’altra festa a cui da bambino mi portava mia nonna Angela, era quella del Corpus Domini. Vedevo una sorta di tappeto volante sorretto da quattro bastoni e una stella simil natalizia piena di punte acuminate. Quando le chiedevo che cos’era, lei mi rispondeva che lì c’era il corpo e il sangue di Gesù e che poi lo dovevamo pure mangiare e bere. Quel demone di mia nonna non aveva cognizione di cosa mi potesse arrivare a quell’età: "mangiare e bere il sangue di chi?" chiedevo ingenuamente "di quello che ha visto mettere in croce" rispondeva lei "ma chi il pupazzo?" Ho avuto un’infanzia parecchio macabra e confusa, ma poi, tra bambini si ci intende meglio e a scuola si chiariva tutto. "Io l’ho mangiato" mi diceva il mio compagnetto visibilmente deluso. "Hai mangiato il corpo di Gesù?" domandavo stupito immaginando un morso su una mano, un piede, un braccio. "Sì" affermava lui "e com’è, di che sa?" e lui non entusiasta "è come una patatina!"
Dal primo novembre, festa dei morti consumata al cimitero stracolmi di dolci e giochi, a giugno, era un carnevale continuo con pupi allegri e tristi. Feste che noi presidiavamo sempre con vago e confuso entusiasmo. Si viveva la vita in strada e per le strade scorreva anche il sangue. Tra le chiese di Sant’Agostino e San Paolo era un continuo sbucciarsi le ginocchia, i gomiti, il petto, la faccia. Prendere sotto un piede dei chiodi rancidi dai cantieri delle case in costruzione, tornare a casa come un Cristo, perennemente adornati di croste. A quell’età era tutto un carnevale, un’avventura omerica, sia un dirupo o su qualche albero d’ulvio dove costruire dimore regali. Mia madre visibilmente adirata, tornato a casa, era solita accogliermi con un ammonimento dei suoi: "arrivàu l’ecce homo!" (è arrivato l’Ecce Homo). Me lo ripeteva costantemente anche quando le croste mi si erano del tutto sanate e scomparse, ma chi era costui, al tempo mi era ignoto.
Altre canaglie amichetti di scuola, snobbando i nostri divertimenti di strada, frequentavano una cosa, al tempo ignota anch’essa, il catechismo. Più avanti quella sorte tocco anche a me e capii finalmente chi era l’Ecce Homo, e poco più avanti ancora, quale terribile incantesimo avevano prodotto sull’intera umanità quei signori delle chiese: Paolo e Agostino.
Ecce Homo, nella mia vita è dunque una investitura. Cominciavo a sapere chi ero, da dove provenivo, crosta dopo crosta, e cosa potevo diventare nell’amore del flagello. Mi stavo dotando di strumenti e conoscenze per criticare il mondo come mi appariva o me lo mostravano, vendevano, mascheravano. Sapevo io quali "patatine" erano ben più interessanti e saporite.
Così deve essere l’uomo e non diversamente da come ve lo mostro: profondo conoscitore di cose e di sé, poiché dalla nascita era nascosto a se stesso, dalla nostra venuta al mondo, ce lo nascondono. Ora egli è svelato, ora è destino. Così il michele (dall’ebraico chi come dio) demolisce se stesso, il bambino da plagiare, e si battezza agghiastru (ulivo selvatico), diviene Dio, ma così, incontrando Zarathustra, egli va anche oltre la rappresentazione formale in una società catto-borghese che recita il proprio ruolo senza mai osare oltre il personaggio oscenamente in scena.
Ma non mi è necessario nemmeno essere Dio. Poiché Dio è confutato, non esiste! Chi è difatti come dio? Nessuno. Né Michele, né Agghiastru, né Odisseo. Questo M. si sbarazza anche di Agghiastru-strumento, e ascende al non-essere… ma che tutto comprende. Così è l’Uomo. Così è il Krishna ingioiellato. Gli è necessaria la falsità per giungere alla verità, poiché altrimenti non riusciremmo a distinguerlo dal colore della notte.
Solo così poteva nascere un album come Addisìu. Sbarazzandomi di tutto il volgare ornamento da carretto siciliano. Dimenticando la Sicilia, ma divenendo Sicilia inedita. Ecco il siciliano che sono. Tradito come l’inchiodato e inanimato manichino (da sé e dalla formalità). Vilipeso, scelto tra i peggiori ad un destino ancora più nefasto. Ma, demolendo ogni struttura, due assi di legno per esempio, Egli assurge al Cielo. Ma ecco il punto, non c’è neanche un Cielo ad accoglierti, nessuna ricompensa, nessuna metafisica. Sei già tu la volta celeste. Devi rinnegare tutto il ciarpame che ti hanno messo in testa: il cielo, la croce, la morale, l’essere così e, "proprio così, sarai giusto", le visioni che altri ti hanno passato facendotele credere verità e, così facendo, ti nascondevano ai tuoi occhi, al tuo cuore. Sei tu la verità!
Ma davvero credi a quel che "sei"? Davvero non comprendi quale burattino sei in mano ad un veleno secolare? Davvero hai l’arroganza di potermi dire chi sei? Tu, cosa, frutto di circostanze. Sei questo pupazzo nato ad Akragas ma che, nato in altri mille spazi, saresti stato altri mille diversi pupazzi! Sei un nome e un cognome. Sei i traumi infantili di cui sei ostaggio a vita. Se i tuoi genitori e la società tutta, avessero continuato a farti credere di essere Batman, saresti ancora qui a provare a saltare da un palazzo all’altro. Sei un povero pazzo. Sei il "nulla", ma neanche il nihil filosofico, troppa grazia, sei proprio non commentabile.
Eppure, ogni santo giorno, "appari". Sei! Sei quello del caffè, del "buongiono", "grazie": "la bambina ha vomitato! Ah, sapesse che bei disegni che fa mio figlio (c’è già Louvre ad attenderlo signora). Tra poco estinguiamo il mutuo, passiamo alla fibra e porteremo più spesso il cane fuori a pisciare. Buonasera". Ottime le tue maniere, ti daremo una medaglietta a fine vita d’attaccare alla lapide, a futura memoria. Anzi, comincia subito ad esporla, appuntatela al petto con quel tuo garbato buonaaaaseeeera. Sei una brava persona, intendiamoci, civile e socievole, una quotidiana e domestica scioglievolezza. Incontriamoci più spesso, magari sui socials.
Ebbene, questo è ciò che più lontanamente ha a che fare con il mio Ecce Homo. Questo miserabile non conoscitore della vertigine, senza ferite né croste, mi auguro non legga mai questi miei testi. Così come è ovvio, non abbia mai letto niente di quella grande saggezza che altri Uomini seppero regalare al mondo, attuando proprio quella liberazione da questo stato di catalessi in cui i più, vegetano.
Non c’è posto qui per i vostri buoni sentimenti. Non c’è interesse per i sentimenti, poiché essi sono il frutto di un veleno che, seppur a dosi sopportabili, ha incrostato le vostre vene e variopinto il vostro sangue.
Consolatevi pure amorevolmente nei vostri aperitivi, nelle vostre riunioni genitori-scuola, condominiali, o all’estrazione del fortuna dal tabaccaio. Andate in chiesa (quella dell’eutanasia). Portate i vostri figli al Calvario. Si fotta l’azienda di cura, soggiorno e turismo, e tutto il ministero della pubblica devastazione, così dell’arte e della cultura. Si fotta il dialetto, il fiscaletto, il cannolicchio, e tutta la mediocrità di un’Isola che molti ancora scambiano come ben rappresentata nelle mie operette. Qui si parla d’altro. Di cose di cui, francamente, niente vi riguarda. Così, e non diversamente, ecco l’uomo!
- agghiastru
I N C H I U V A T U E C C E H O M O
E C C E H O M O Com'è chi li to 'nfami a Barabba si sciglieru? e lu figghiu do signuri a la cruci 'u destinaru? Su lingui di flagellu nna la so' schina villutata. Ognunu piscia e sa talìa e cu la manu avi lavata. Eni sangu binirittu chiddu chi scanciastiu pi' sangeli Ma su 'i vostri figghi ricadrà la cuppa e nna lu piccatu lu to' peri veni. Ecco l'uomo, venuto per salvare ma che il padre non salvò. Il più grande atto d'amore ai propri infami dimostrare... Il flagello è la tua lingua. Al macello la tua carne. Si faccia 'sangeli' del tuo sangue e ai porci ritornino ossa e vermi. Ecce Homo! Fatto a sua immagine e somiglianza.
S A N G A R I A e unni vogghiu cchiù!
P I A R I
V A S A |
E C C E H O M O Così i tuoi infami
BAGNO DI SANGUE e non ne voglio più!
A N D A R E
P R E G A R E
B A C I A! |