ADDISIU 20 anni dopo

Black metal, cantato in siciliano, con inserti di musica folk della stessa area (anche se, come leggerete, al suo creatore non piace questa etichetta). Riuscireste a immaginarvelo nel 2017? Noi, francamente, no. Per avere il metro di quanto fossero creativi gli anni ’90 in ambito metal, in Italia e non solo, forse si può partire proprio da Addisìu e dal quel 1997 in cui venne alla luce. Ce lo racconta Agghiastru, il suo creatore ed unico esecutore. (Giuliano D’Amico - metalskunk)

Quali sono i tuoi primi pensieri all'ascolto di Addisiu, vent'anni dopo la sua uscita?


Nessuno in particolare perché saranno proprio vent’anni che non ascolto quel disco, e non credo mi verrà voglia d’ascoltarlo proprio adesso. Potrei provare piacere a risuonare qualcosa in una nuova forma, ma riascoltarmi non mi piace proprio. Questo è spiegabile serenamente perché, in fin dei conti, non si è mai soddisfatti del proprio operato e i difetti finiscono col prevalere sui pregi. E’ ovvio che chi ha conosciuto Addisìu nel 1997 avrà colto solo i pregi, ma un musicista che crea la sua opera è l’ultimo a godersela, se non addirittura a rigettarla.
Approfondisco questa mia analisi impetuosa su quello che molti ritengono essere il mio ''capolavoro'', poiché voglio rendere chiaro il mio approccio alla musica, ieri come oggi.
Fin dalle prime esperienze musicali, quello che volevo emergesse immediatamente, era l’originalità, senza la quale non vedo il perché "creare" qualcosa di già esistente. Per puro compiacimento? No, non sono il tipo. Dunque, Addisìu, dopo la lavorazione di tre demo, e altri seminali progetti, cominciava ad essere la strada da seguire, ma non era abbastanza. Considera che in quegli anni gli unici registratori erano a bobina in studi professionali o ‘live’ su un DAT. Io lavoravo su un 4 piste a nastro aiutandomi con i sequencer delle tastiere. Questo era il modo di incidere dalle mie parti. Purtroppo, o per fortuna, ho sempre composto, suonato e inciso, in un unico passaggio. Addisìu venne dunque registrato dopo che tutti i brani erano più o meno chiari, ma in uno studio di un mio amico. Questa operazione ha in un certo senso ridotto la mia possibilità di intervenire sui brani fino al momento prima del missaggio finale. Ed ero capace di cambiare un brano anche del 70%, attirando su di me le bestemmie del fonico, pur di essere fedele all’idea originaria. Alla fine venne fuori quest’album: Addisiu. Ma manca tanto. Per prima cosa i suoni. Non erano i miei. Anche l’impasto sonoro non era quello che avevo immaginato. Ma soprattutto la fusione tra la parte metal, il folk, il prog e gli strumenti artificiali.
Il punto è, che per me non si è mai trattato di confezionare un disco di musica, ma un vero e proprio lavoro artistico. Dunque, come un pittore, dovevo creare i miei colori sonori e poi adagiarli sulla tela seguendo serenamente la mia visione nel mio laboratorio, col mio tempo e con la mia voglia. Lì ero invece nella grotta di un amico che non sapeva bene che roba fosse quella musica.


Vedo che non parli della riedizione uscita anni dopo insieme a "Demoniu". Se posso essere d’accordo sul problema dei suoni nel 1997, non pensi che la nuova edizione abbia dato la giusta dimensione all’album?


L’edizione del 2004 ha il solo pregio di aver migliorato un po' il suono totale dell’album già mixato, ma io sto parlando dei suoni di ogni singolo strumento.  La batteria elettronica, il piano, le tastiere e tutto il resto.  
Quando uscì Viogna, dissi chiaramente che quello era da considerarsi il vero debutto di Inchiuvatu, poiché realizzato secondo gli schemi che ti ho raccontato prima, ossia nel mio studio personale. Infatti gli intrecci di folk, prog e metal sono molto più amalgamati lì. I suoni sono decisamente più consoni al concept seppur artificiali, ma cosa più importante, fino all’ultimo, ho corretto, cambiato, riveduto e quindi sentito profondamente tutto quello che ascolti in quel disco.

Da quel 1998 decisi che, e mi ripeto, dovevo intendere la musica drasticamente nelle modalità di un pittore chiuso nel suo studio. Diversamente non sarei io. Anche a discapito della qualità sonora. Infatti, non ritenendomi capace di registrare, molti dei miei lavori suonano "amatoriali", ma è un prezzo che pago volentieri ma che meglio rappresenta la mia idea musicale originaria.  
Purtroppo, nel tempo, sui suoni non ho fatto la ricerca che avrei voluto… sacrificandoli rispetto ai testi che invece sono stati sempre all’altezza delle mie aspettative. Solo negli ultimi lavori della pentalogia, Via Matris, Via Lucis o Ecce Homo, ho cominciato meglio a definire totalmente anche la tavolozza sonora del progetto.
La musica è un linguaggio per dire al mondo, o a te stesso, chi tu sia. Immagina che i tuoi pensieri venissero raccontati con la voce di un'altra persona e in un'altra lingua. Tu vuoi tradurre quello che avviene nella tua mente col suono della tua voce. Detto questo, quando molte bands a fine anni 90 utilizzarono uno studio di registrazione in particolare, gli Abyss Studios, per avere un suono mainstream, si ruppe l’ultima alta considerazione che avevo del genere. Queste bands suonavano tutte uguali, castrando totalmente le loro primordiali personalità. Riguardo allo stato di salute della scena oggi, artisticamente, non faccio alcun commento.

Non seguendo più molto la scena, faccio una considerazione e una domanda volutamente provocatoria. Non è un cliché dire che "sulla scena di oggi non faccio alcun commento"? Non pensi che sia più o meno quello che ogni generazione di artisti abbia rinfacciato alla generazione successiva (per mancanza di elasticità, di strumenti per comprendere l’evoluzione della forma d’arte in oggetto, per vecchiaia, ecc.)? O questa volta davvero siamo alla fine?

L’organizzazione sociale si "evolve". Era migliore l’epoca del Rinascimento o quella Moderna? È più romantico il negozietto di dischi, la bottega di alimentari sotto casa  o amazon che tra poco col cibo t’imboccherà attraverso un drone?  A me non interessa stabilire questo tipo di cose, ma andare all’origine di quello che è il senso dell’arte, della musica in questo caso. Se la musica è suono, e se il suono è qualcosa di personale che elaboriamo fin dal primo vagito alla nascita, a me interessa se un artista fa ragionamenti di questo tipo, e dunque ascolta, "evolve" il proprio nella direzione di questa urgenza.  Se invece l’artista rinuncia a questa interiorità, all’indagine della propria sensibilità, accetterà che il suono possa anche essere uguale per tutti e dunque perfetto, e quindi omologato. Quello che ci piacque della scena black metal norvegese dei primi anni ’90 era proprio questa originalità del suono, poiché si contrapponeva con ferocia a tutte le altre bands omologate che ci arrivavano dall’America. Prova a immaginare se oggi, quel tipo di bands e di dischi (Pure Holocaust, In The Night Side Eclipse, A Blaze in the Northern Sky, Filosofem, giusto per citarne alcuni), registrati con le straordinarie e moderne tecnologie, avessero lo stesso impatto su di noi… Non credo proprio. Ti faccio un esempio più concreto. I Gorgoroth hanno riregistrato Under The Sign Of Hell , ma sarebbe come pensare di affincare alla Cappella Sistina una nuova versione graffitara, anche se eseguita dallo stesso Michelangelo. Ancora. Se vado a vedere live la PFM, voglio sentire i suoni degli anni 70 dell'album Per un amico, perché dovrei sorbirmi la loro musica "aggiornata" al controllo di processori sonori moderni? E questo è l’aspetto del suono, poi c’è quello compositivo e, in una società fottutamente globalizzata, il concetto creativo ha subito lo stesso stupro dei suoni. Oggi non avremmo più suite di 20 minuti, poiché la gente, abituata ad ascoltare la musica su youtube o spotify, vuole emozioni forti, tutto e subito nel primo minuto e mezzo del brano. La gravità di questa analisi è che, noto, l’artista contemporaneo sta rincorrendo questo mutamento sociale, perdendo di vista i valori originari. Perché suoni? Perché vuoi trasformare quel che pensi in suono? Perché credi che qualcuno ti dovrebbe ascoltare quando pensi e suoni uguale a milioni di altri? E' evoluzione questa? Bene, non m'interessa.

Quali sono i tuoi ricordi personali relativi alla gestazione dell'album, alla sua uscita, alla sua ricezione? Sono positivi, negativi, come si iscrivono in un'epoca del black metal e degli Inchiuvatu che è ormai passata?

Probabilmente gli anni 90, per la musica metal estrema, sono stati gli ultimi veramente intensi e pieni di aspettative. Ogni disco era un passo avanti sorprendente. Tutto era underground ma si sentiva una voglia di ‘emersione’ straordinaria. Ho creduto di poter fare qualcosa di rivoluzionario e così è stato. Dare un segnale politico partendo proprio dalla terra italica più a sud dell’Europa e con una lingua "incomprensibile".
Quando cominciarono ad uscire sui giornali le prime recensioni dei demo di Inchiuvatu, la gente era confusa. Associava l’idea di un genere estremo marcatamente siciliano a pellicole altrettanto estreme come i films di Mary per sempre e Ragazzi fuori di Marco Risi, area palermitana. Ma poiché noi eravamo originari dell’area selinuntina/sicana, i più sconoscevano il lato elegante e decadente della mia parte dell’isola. Le mie foto erano in giacca e non con il chiodo e le borchie. A poca distanza dai luoghi del Gattopardo, o dall’Akragas di Pirandello, il nostro modo di intendere, anche la dimensione ferale del black metal, si ammantava di una malìa sicula inaspettata. E infatti, quando uscì Addisìu, tutti furono spiazzati positivamente. Aggiungi che nel mio modo di raccontare la Sicilia ho cercato sempre di elaborare un punto di vista intimo, personale e il più originale possibile. Ecco che il pianoforte prevale sulle chitarre. La melodia mediterranea diventa prepotente. Il dialetto è vellutato e non sguaiato come nelle pellicole di cui sopra. Insomma, l’accoglienza, seppur spiazzante, fu di assoluta conferma di un progetto dall’enorme potenziale e con qualcosa di diverso da raccontare. Questo è un fatto.
Iniziai a raccogliere le impressioni poetiche per musica e testi, che sarebbero servite a creare l’anima del progetto, fin dall’adolescenza. Merito di mia nonna Angela, dei vicoli stretti e scoscesi di Sciacca, abitati da prostitute e dalle tante edicole raccapriccianti, e poi da fattucchiere inquietanti pronti a fare a noi bambini ‘u scantu’, una sorta di orazione tramandata da madre a figlia la notte del venerdì santo per allontanare i vermi che ci agitavano le viscere.
In uno di questi stretti vicoletti iniziammo a registrare Addisìu, proprio nella settimana santa del 1997.


Vorrei approfondire il discorso delle ispirazioni "siciliane" di Addisìu. Se, almeno a livello latente, ho sempre sentito odore di Tomasi e Pirandello, mi stupisce molto l’associazione (a quanto pare diffusa) di Inchiuvatu con la “vomitevole espressione neo-neorealismo” (per citare Franco Maresco) di Marco Risi. Mi pare davvero impossibile accostare l’uso del dialetto in Inchiuvatu con quello di questi film. Mi pare invece, rimanendo in ambito cinematografico, che la Sicilia di Inchiuvatu sia più vicina a certi lavori di Ciprì e Maresco, quelli meno cinici e più lirici. Ad esempio Il ritorno di Cagliostro e la sua ironia, sicilianamente disincantata, sulla meschinità del genere umano, o Totò che visse due volte, erroneamente considerato un film blasfemo ma in realtà pregno di una grande ricerca spirituale. Una ricerca che si rifà a sua volta al Pasolini del Vangelo secondo Matteo (altro autore che vedo molto in Inchiuvatu) e credo a Carmelo Bene, che se non sbaglio hai citato in passato tra le tue influenze.

Le personalità che citi sono talmente scontate, nel mondo della cultura, e al di sopra delle nostre misere possiblità, che mi asterrò dal fare qualsiasi commento. Fin da piccolo ho cercato l’origine, cosa significasse essere parte di questa nazione e quindi di questa particolare isola mediterranea. Poi capii che ero prima di tutto greco, e da lì in poi ogni cosa, ogni elemento, ha trovato il suo logico scorrimento. Da Parmenide a Bene è tutto un unico respiro. Non mi siederei con te neanche ad un caffè se non avessi chiaro che così stanno le cose, e tu sai che è così. Inchiuvatu parte dal teatro. Da Eschilo, da Pirandello ovviamente, e soprattutto dal nostro carattere siculo-filosofico. Inchiuvatu è riferito all’incapacità dell’uomo di dare un senso al mistero della vita e questa è materia filosofica. Evidenzia il carattere Scettico, poi Esistenziale. Ma poiché anche il dramma può essere consolatorio, allora ne ho tratteggiato l’essenza più romantico-decandente. Inchiuvatu è la nascita della mia tragedia sicula, giusto per dire.
L’ispirazione di Inchiuvatu, così originale, andava oltre la stessa idea che noi abbiamo dell’Isola. Sono io l’Isola. La musica di Inchiuvatu, o di Agghiastru quindi, è la maschera che porto in scena mostrandovi il mio dramma interiore. Nell'ispirazione siciliana che cerchi c'è il me stesso che è sicilianità allo stato puro. A che serve tutto questo mi chiedo e ti chiederai? Probabilmente a sopportare il peso angosciante dell’esistenza. E anche il sostenere il peso (rassegnazione) è tipico del carattere siculo, siamo come Sisifo. Ma anche questa constatazione, ho imparato via via, è ingannevole. Poiché la "rappresentazione" di noi stessi, compare e scompare nell'ambito della nostra coscienza. Come può essere quindi consolatoria? La definitiva parola per capire cosa ispira quest'isola è: dramma, solo una sopportazione dell'essere e del suo dramma inconoscibile.  

Cosa pensi abbia significato Addisiu per il black metal, italiano e non?


Il significato non mi è stato chiaro allora e probabilmente non lo è neanche oggi. Questo perché noi si viveva in un territorio estremamente lontano dal resto dei praticanti di quel genere e, come potrai comprendere, le uniche possibilità di contatto con la gente erano delle lettere scritte malamente a mano. Nel tempo qualcuno ha accusato me e la Mediterrenean Scene di snobismo, ma la verità è che abbiamo vissuto tutto quel periodo ‘isolati’ in un’isola lontanissima da tutto. Oggi non c’è libro che celebri il ventennio black metal senza citare Addìsiu, e allora qualcosa in più comprendo. Non so cos’altro dirti, a parte forse una velata delusione riguardo al profondo messaggio di Addisìu, che nessuno ha colto e raccolto. Inchiuvatu non è un progetto di black metal con innesti folk siculi. Non mi aspettavo certo di divulgare l’idea regionale di fare metal incitando a Barbarossa o al doge veneziano, e non sarò io ora a dire cosa mi aspettavo. Ma il senso di Inchiuvatu, e della Mediterranean Scene, non ha lasciato alcuna traccia nella musica o nell’ispirazione del metal nostrano e non.

Mi piacerebbe capire di più sull’accusa di snobismo. Di cosa di preciso siete stati accusati? Di mantenervi in una aurea solitudine? Inoltre: il fatto di vivere "in un’isola lontanissima da tutto" come ha influito su di voi come artisti e persone? Azzardo: è stato un vantaggio per la vostra maturazione personale ed artistica?


In quel periodo ricevevo parecchia gente al caffè e tutti si stupivano della mia disponibilità. Ma io sono uno che "osserva" scrupolosamente, perché mai dovrei privarmi della curiosità di interagire con gli altri? Anche se quello che cerco, a volte lo sconoscono anche chi mi viene a trovare, segno evidente che non hanno compreso il messaggio di fondo della mia… chiamiamola arte. Detto ciò, per quanto amabile è la mia disponibilità, altrettanto snob appariva la mia persona nei confronti dei meccanismi della setta metallara. Ma era ovvio che io né li conoscevo né ero propriamente un metallaro. Quindi mi si accusava di non partecipare ai concerti, di non andare a vedere o supportare gli altri, di disinteressarmi della musica degli altri. Insomma, cose di questo tipo. Ma io sono sempre stato un pigro che ha accolto tutti dalle mie parti, se ho mancato di essere presente nella vite di altri, e secondo le aspettative che il genere metal socialmente richiede, non era affatto snobismo ma un mio limite culturale o eccesso di ozio. Io non amo la solitudine. Ho sempre preferito i giardini epicurei. Per andare ai concerti dovevi faticare, chilometri di auto, poi incontrare gente ubriaca...

Seconda domanda. Poiché lontani dagli schemi metallari, abbiamo mantenuto meglio una certa purezza-ingenuità nell’approcciarci al genere. Direi che è stato un vantaggio poiché non siamo caduti nel tranello dell’omologazione. È uno svantaggio invece non aver frequentato più da vicino quella gente, e capire prima che a questi la filosofia interessava solo apparentemente. Avrei fatto delle scelte diverse. Constatare che il metallaro medio è interessato alla fica, all’alcol, alle droghe, all’apparire di un’immagine tristemente consolatoria, salvo poi sciorinare pezzami di mala cultura, mi avrebbe fatto allontanare più velocemente. Non posso non nasconderti, e in parte sarai d’accordo, che il metallaro medio è una bestia mal fatta.


Per cosa pensi che Addisìu vada ricordato, oggi, a vent'anni dalla sua uscita?


Non ho mai pensato che Addisìu fosse un grande disco da ricordare o analizzare. Sono arrivato al metal di Addisìu provenendo da altri generi. Ero già un ragazzino formato, non sono nato ‘metallaro’, questo ha fatto sì che, l’originalità di quel disco, la sperimentazione e il fascino, fossero atteggiamenti consapevoli e maturi incastrati nel mio modo di fare musica. Al tempo non comprendevo come altri ragazzi non ‘sperimentassero’ alla mia maniera e si ostinavano a rimanere entro dei canoni talmente banali e inamovibili da risultare inutili. Ma questo fatto è chiaro poiché la gran parte dei ragazzi che suonano, o suonavano questa musica, non conosceva altro che il metal. Erano dei metallari ai limiti dell’ortodossia, musicisti nati e cresciuti in quell’ambiente. Eppure il genere è qualcosa di molto più profondo e filosofico, e mi ci sono avvicinato proprio per questa componente teatrale illuminata entro la quale si possono traghettare altri generi musicali e mille tematiche. Addisìu va ricordato forse per la sincera onestà intellettuale.

Mi chiedo se tu sia troppo duro con il tuo pubblico/i tuoi colleghi, o se tu in fondo abbia ragione. Sono anni che mi chiedo se il mondo del metal (ed è uno dei motivi per cui me ne sono progressivamente allontanato) sia un mondo fintamente intellettuale (i comuni riferimenti culturali, Tolkien, i miti, ecc.), ma in realtà filosoficamente e intellettualmente povero. Insomma un intrattenimento con una facciata artistica. Proviamo a ragionarci su insieme.


Il metallaro è un uomo. L’uomo è un animale abbastanza semplice. Vive compiacendo il film che gli appare nella coscienza e lo sperimenta seguendo dogmaticamente gli insegnamenti di questa o quella organizzazione sociale. Prima era il comunismo, poi il nazismo, il multiculturalismo, la globalizzazione, il medioevo, la religiosità o l’oroscopo. Insomma, vive sereno all’interno di una pratica umana consolatoria per evitare di uccidersi. Potevamo essere punk, metallari o discotecari. Il senso non cambia. Abbiamo bisogno di consolazione, quindi della fica-mater da cui siamo venuti fuori, quindi dell’assistenza paternalista del sistema. Il fatto che abbiamo creduto di mettere in discussione tutto questo attraverso una categoria dello stesso film, la musica estrema, è quanto mai ridicolo. Sebbene rassicurante ed efficace. C’è questa parola che diventa interessante esaminare: trascendere. Ma ritorniamo nel territorio filosofico in cui tutto è uno. Dagli indiani del nono secolo A.C., dai greci, da Pirandello a Severino, sappiamo di questa storia illusoria della vita sensibile e materiale, e di pratiche che possono farcela trascendere per arrivare a scorgere lo stato naturale del nostro essere. Io ho cercato di trascendere il concetto chiuso di black metal, se non di musica-arte. Ho cercato di andare al di là dell’Isola comprendendo che io sono l’Isola. Alcuni pensano di arrivare a questa "cosa", allo scorgere dell'oltre, trascendendo la vita sensibile col sesso, altri con droghe e alcol, altri ancora facendo dei figli, alcuni impiccandosi ad un albero. Ognuno fa come gli pare. Ma il senso comune di tutto questo è capire cos’è l’esistenza e dove risiede l'esistere, perché ci comportiamo in un modo anziché in un altro e dove compare tutto ciò, e dunque andare oltre a scoprire la Realtà Suprema. Altra parola interessante sulla quale potremmo soffermarci (e non lo farò qui). Pensavo che il metallaro inquadrasse il genere musicale del metal in maniera intellettuale, seguendo tutta una serie di parametri che quantomeno lambivano queste tematiche. Invece, animalescamente, si sono fermati sulla soglia d'ingresso e di uscita. La fica!

La c.d. Scena Mediterranea mi ha sempre incuriosito (almeno dal di fuori) per la sua natura di catalizzatore culturale in una cittadina di provincia per cui, almeno a giudicare da profano, il metal non fosse di casa. Cosa ricordi degli albori di questa scena?


Pur in maniera inconsapevole avevamo incarnato il vero spirito del black metal. Abbiamo vissuto la musica black metal in maniera clandestina. Giravamo per mezza Sicilia in dieci macchine cariche di tutto: amplificazioni, strumenti, palco fatto da pedane di legno e luci improvvisate. Ovunque ci fosse posto, un casolare in aperta campagna, una casa al mare, una villetta in montagna, ovunque si potesse organizzare un concerto o incontri, noi eravamo disponibili, altro che snob. La Scena Mediterranea è stata davvero rivoluzionaria, non aspettavamo mica i locali per esprimerci. Questo spirito originario era quello che io chiamo l’autoproduzione assoluta. Dalle registrazioni, in studi improvvisati, a quella degli show, ma anche dall’informazione col pubblico con qualsiasi mezzo, tutto era in mano nostra. Vivevamo la musica in maniera totale. Andavamo alla scuola d’arte, nel pomeriggio si registrava, la sera si facevano le prove e la notte conducevamo diversi programmi radiofonici. C’era pure chi si interessava di cucire con pellame bracciali borchiati e vestiario ai limiti del ridicolo. Ma c’era una purezza d’animo sconvolgente se penso al nostro tempo odierno. E tutto questo senza l’ausilio di sostante lesive: alcol, internet, fumo o droghe, mai usate da nessuno di noi. Eravamo solo degli ‘artisti’ in cerca di rappresentazione che interpretavano un movimento, a nostro modo di pensare… culturale: il black metal.

Leggendo questo paragrafo mi scappa un sorriso. Veramente l’essenza del black metal. Raccontaci qualche aneddoto degli inizi, immagino tu ne abbia di gustosi.


Tu cerchi il divertente dove in realtà noi cercavano disperatamente la serietà dell’affermazione. Un terrone ignorante vive la condizione isolana avviluppata ad un immenso conflitto di inferiorità rispetto al resto delle terre emerse. Quella che i più chiamano accoglienza meridionale, ospitalità mediterranea, non è altro che senso tragico del proprio malessere subalterno. In realtà, questo terrone ignorante, poiché sconosce il suo travaglio, la sua origine e storia, si genuflette a qualsiasi forestiero, interpretando il nuovo arrivato come colui che "conosce" e sarà certo migliore di lui.  Nella storia il popolo siciliano si è piegato a parecchie dominazioni, alcune delle quali imbarazzanti, altre migliorative. Non si è spezzato, ma neanche inorgoglito e rimboccato le maniche per scoprire se stesso. Questo travaglio interiore, paradossalmente, crea un cortocircuito produttivo stupefacente. Poiché il siciliano riconosce di essere ignorante, servile, o come sintetizzo io affamato, fa sì che la necessità lo porti in cima alla catena alimentare della giungla. Infatti, per creatività, filosofia, ma anche per malvagità e autodistruzione, egli non ha pari nel mondo. Siamo greci, e questo basta a dire da dove veniamo. Ma l'essere siciliano è qualcosa di ancor più conturbante. Siamo conterranei di Pirandello e Sciascia, e abbiamo la mafia incisa nel DNA. Siamo generosi e avidi. Siamo l’arsura e abbondante fertilità. Prendi me per esempio. Sono stato poco più di un cialtrone che, non conoscendo l’inglese ha pensato bene di sfruttare l’idea del dialetto. Siamo gentaglia capace di sfruttare un difetto per trasformarlo in un pregio, pur di arrivare. Capisci cosa intendo? La verità risiede nella costante menzogna.  


Qualsiasi altra considerazione che ti venga in mente (ci interessano le tue emozioni, i tuoi ricordi. Di recensioni se ne scrivono già troppe).


Non abbiamo parlato dell’aspetto visivo e, considerando artisticamente l’opera un tutt’uno, anche delle immagini volevo l’assoluto controllo. Inizialmente la copertina doveva essere un mio quadro che ritraeva la fata alata adagiata su un fiore. Al tempo dipingevo, con scarsi risultati in verità, e avevo pensato ad una sorta di paesaggio in cui raffigurare le varie vicende narrate nei testi delle canzoni. Ogni canzone, a sua volta, diventava l’ideale continuazione per il successivo album e di conseguenza anche l’immagine che, alla fine di una cinquina di album avrebbe formato, come in puzzle, lo scenario definitivo. Presentai il progetto alla mia casa discografica, ci confrontammo, ma trovammo poco ‘attraente’ l’uso di quel quadro. Optammo per una foto sciamanica che mi ritrae in cui, come una sorta di Virgilio, accompagno l’ascoltatore all’interno di questo viaggio onirico–musicale. La foto mi piacque, perché oltre ad essere carica di simbolismi attinenti, mette in evidenza le mie intenzioni. E poi sono sempre stato affascinato dalle figure di filosofi erranti, asceti, samana, stiliti e via discorrendo. Dalle mie parti c’è il deserto, e anche il nome d’arte che ho scelto per me, presenta i caratteri di una sorta di oscuro santone/terrone di tutto rispetto.
Nell’edizione di Addisìu del 2004, curata dalla INCH Productions, sul vassoio dove si adagia il dischetto, abbiamo riproposto l’intero quadro con tutte le vicende del concept dell’album, oltre a immagini d’archivio con i luoghi simbolo della genesi del progetto. Dunque niente è andato perduto fuorché la nostra gioventù.   

In precendenza hai parlato di un "messaggio profondo" di Addisìu che non è stato colto dal pubblico. Io l’ho sempre trovato intimamente legato al tema floreale dell’album. Il fiore sacrificato come simbolo di un amore non corrisposto, di un’esistenza non realizzata, forse di un cammino spirituale che non si può intraprendere. "Addisìu" come desiderio di qualcosa che non si può ottenere e non si può diventare (vedi i pezzi a tema Mariano, ecc.). Sono totalmente fuori strada? Se hai voglia di condividere questo messaggio con noi, te ne sarei grato.


Il tema di Inchiuvatu, così come della nostra urgenza interiore, è proprio questa caratteristica scettica. Noi abbiamo edificato tutto il nostro essere e il nostro sapere sul nulla. E sappiamo che questo nulla non può garantirci risposte a meno che non sacrifichiamo proprio questa cosa di cui vorremmo conoscere il senso: ossia la vita. Il desiderio espresso in Addisìu è proprio il senso tragico-grego. Rappresentarlo, contemplarlo, venirne schiacciati, ma poi trascenderlo. Perché solo oltre il velo illusorio potrà esserci altro. In album quali Viogna (vergogna), Piccatu (peccato), Miseria, non faccio altro che analizzare questo aspetto, dove la proposta artistica non può che essere drammaticamente falsa e consolatoria.  In Cristu Crastu c’è una frase emblematica, basta e avanza citare quella: "la mia mente è ossessionata dalla vita, perché non sento questa vita mentre vivo"? Perché non c’è alcuna vita reale da vivere, e questo un siciliano lo sa.

 

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