VIA LUCIS l'intervista

 

Via Lucis chiude la Pentalogia iniziata nel 2008. È un disco strano, a tratti assurdo, ma perfettamente inquadrabile nella follia di Agghiastru. Se Via Matris aveva spiazzato un po’ i vecchi fan, Via Lucis li fa definitivamente perdere nel regno oscuro del menestrello siculo (come si diceva un tempo). E allora vien da chiedersi, ma oggi cos’è per Agghiastru il nome Inchiuvatu? Cosa gli suscita?

Mentre per molti di noi il nome Inchiuvatu ha un’identità estremamente chiara e netta, è la sua visione che dobbiamo indagare e comprendere a fondo. Ne abbiamo parlato in una lunga, lunga intervista, a cui lo stesso Agghiastru ha lungamente risposto, coinvolgendo anche alcune delle migliori ''menti'' della Mediterranean Scene.

Prima di parlare di Via Lucis, chiarisci a noi tutti cosa pensi quando qualcuno ti cita il nome Inchiuvatu. Cosa pensavi e penserai per il futuro.

La prima cosa che mi viene in mente pensando a Inchiuvatu è il giardino che va dall’oleastro fin sotto la montagna del Nadore nella zona di Sciacca. Ricordo che la luna piena rischiarava tutta la pianura ed io capii che lì c’era nascosta una musica incantata. Nacquero così Lu Jocu di li Spiddi, Lu Jaddinu di lu Piaciri, Nenia, Veni, Quiete Morente, Unìa e la stessa Addisìu… Tentai di dipingere e disegnare quell’immagine, ma la musica è stata più fedele. Dunque c’è molto ambiente, spiriti, malizia ed evocazioni arcane. Tutte parole che hanno a che fare con le fate senza volto dipinte nell’artowork del primo disco e le tarantelle tristi, nonché quel cantato cantilenoso che sa di orazione mantrica. Penso che quel giardino è ancora vivo e presente ma che nel tempo abbia inglobato parte del deserto circostante, e ora vuole cantare di una fase meno sensuale e più spirituale, direi più marcatamente esistenziale.

Che tradotto in musica sarebbe?

Be’, c’è meno gioia, meno malìa sicula, e c’è molta più oscurità e potenti scintille, lampi, illuminazioni. C’è questa componente tribale che dovevo migliorare già in Addisìu, ma che era presente nell'importantissimo brano Swau del demo live ‘Venniri Santu’. Non so bene come, immagino una scena come in un film, e poi improvviso con gli strumenti. Dunque dovresti farmi questa domanda un attimo prima di entrare in studio e iniziare a fabbricare con le note il film, il teatro, la messa in scena del falso. E' tutto in divenire.

Quindi è corretto considerare Via Lucis come l’ultimo tassello di un percorso, ma anche un nuovo inizio? Spiegaci il senso della pentalogia.

Nel 2008, finito Miseria, non sapevo bene che altro inventarmi. Pensavo che il progetto avesse esaurito tutto quello che aveva da dire. Allora cominciai a giocare con la batteria elettronica come ai tempi dei demo. Venne fuori 33 e la semplicità/ingenuità adolescenziale di Inchiuvatu. Cominciai a pensare ad una serie di EP che avessero al centro la vita di Cristo, ma in realtà stavo indagando in me stesso. Dunque è stato inevitabile accostarmi ai racconti evangelici e nel frattempo capire se, musicalmente, il progetto potesse esprimere altro da quello noto. Pensai gradualmente di annientare la batteria perché volevo condurre il sound verso soluzioni tribali e sabbatiche. E lo feci nel successivo Ecce Homo, adottando anche un cantato solo sospirato. Interessante la ripresa live in mezzo alla natura che mi ricongiunge con Swau del demo Venniri Santu. Lo so, mi ripeto, ma vorrei fosse chiaro che, alla fine, tutto il mio lavoro è sempre collegato. I miei lavori necessitano di una visione d’insieme, per essere compresi. Altrimenti, passate oltre.

E così giuntiamo a INRI, forse per molti il miglior lavoro degli ultimi tempi.

È stato un bel lavoro, sia comporlo che sperimentarlo. Ma la vera botta sperimentale arriva con Via Matris e Via Lucis. Ho sperimentato black metal acustico e a cappella, ti risulta di aver mai sentito qualcosa del genere in giro? No, perché il metallaro non ha mai inteso la musica se non in maniera strumentale. A me piace il concetto. In questa pentalogia ho esaurito un po’ tutte le stranezze che potevo affibbiare a un genere musicale così monolitico: cori, recitati, cantato in falsetto, drum machine. Ora sappiamo che il progetto Inchiuvatu è sano, vegeto, maturo e si può proiettare in qualsiasi direzione e nessuna.


Sono passati quasi otto mesi dalla pubblicazione di Via Lucis, a mente serena, che ne pensi? Quali notazioni hai da fare e quali brani ti sembrano più rappresentativi per il tuo concetto musicale.

Penso che Via Lucis andava fatto e doveva venir su così com’è. Io sono spettatore, tutto accade lì come deve accadere. Questa serenità di giudizio mi arriva oggi, non certo ieri. Oggi sono molto più sicuro di me. Certo, molte cose si possono sempre migliorare, ma oggi ho una visione più ferma nel pubblicare la mia musica. Il disco è diviso musicalmente in diversi stati. C’è quella rock & roll, c’è quella sperimentale, c’è quella tribale. Trionfu è un chiaro brano surf-black metal. Volevo si aprisse con la processione della resurrezione del Cristo che vedevo sfilare da piccolo tra i vicoli del mio paesino. C’era la banda e la festa, e tanta emozione. Sono sensazioni che solo un terrone di paese può cogliere. Man mano il disco segue le stazioni della Via Lucis. Balàta Scunsacrata è un brano lento e oscuro e si ricollega al brano di Via Matris Santa Balàta. Maddalena è allegro e per certi versi folle come deve esserlo un brano di Tom Waits. Runa è un brano sciamanico, racconta del viaggio errante. Dei brani a cappella mi piace molto ‘Ati (contrazione di piccati) perché non è solo una trovata, c’è molto di più nell’evolversi della melodia. C’è qualcosa di orientale, se noti bene…

Questa parte orientale, indiana-asiatica per essere più precisi, serpeggia in tutto l’album… Ma continua pure a raccontarci qualcosa degli altri brani.

Sai bene che sono affascinato da Pirrore e dagli scettici, e c’è un momento in cui la filosofia greca incontra la cultura vedica, per cui è un attimo che il sincretismo filosofico-musicale, si realizza nella mia testa. È il caso di Làu e Ruvina. Quest’ultimo brano chiude l’EP. È un tipico brano alla Inchiuvatu di Viogna. Complesso, variegato e che indica, nel testo, la soluzione del tutto. Ossia, osserva la rovina del tuo corpo poiché tu non sei il corpo, e neanche la mente che lo pensa. Tu sei oltre. La fede e la serietà nel voler scorgere questo ''oltre'' è già un primo segno di liberazione.

Dalla lettura dei testi emerge prepotentemente il concetto che c’è un sapere dentro l’uomo ma che lo stesso ignora. E infine il costante riferimento al Sole, che tutto illumina e svela. I testi sono appunto Ruvina, Sceusa, ‘Itu

Come scrivevo in Viogna, ''semu pupi in un teatrinu, e inscenamu la vita, la nostra recita'' (siamo marionette in un teatrino e mettiamo in scena la vita, la nostra recita) dalle letture della filosofia occidentale e orientale, emerge che la nostra vita materiale è qualcosa che maschera il vero Sé. I filosofi, così come i maestri spirituali indiani, si propongono di mostrare la verità assoluta.  In realtà questa verità alberga dentro di noi, ma la ignoriamo continuando a dare valore al dualismo che si presenta nella nostra mente. Mi rendo conto che entriamo in un territorio in cui un minimo di filosofia occorrerebbe conoscerla, allora cercherò di ritornare ai vecchi testi di Inchiuvatu. L’uomo vuol conoscere il senso della sua esistenza, ma è conscio che ciò gli è impossibile. Ma chi nega tutto ciò? Egli stesso. Noi vediamo i fili, pur tuttavia preferiamo continuare consapevolmente a muoverci secondo l’evoluzione del pensiero, del teatro e delle epoche. Ma tu sei il creatore del mondo. Tu sei il sole che illumina tutto. Per trovare il vero essere devi andare al di là del rapporto che hai col corpo, con la mente, con la coscienza e arrivare alla pura consapevolezza. Solo allora ti accorgerai che stai recitando un copione che non hai scelto e che, anzi, non esiste, nessun copione né teatro. Tutto è illusione. Un sogno ad occhi aperti ''tagghia ora li to' fila, leva puru 'n cruci li to ali, e cari...'' (taglia ora i tuoi fili, stacca le tue ali dalla croce e lasciati cadere), sempre dal brano Viogna (vergogna).

Due brani corposi che non hai citato sono Petru e Scèusa.

A tanta gente, di quelli a cappella, è piaciuto anche Iti, ma a me no. Capisco che quel brano ha in sé tutti gli elementi tipici, e direi banali, del sound Inchiuvatu, ma non aggiunge nulla di nuovo al mio repertorio. Neanche Scèusa mi è riuscito bene. Bello il testo, ma la musica è finita col diventare una sorta di stupido reggaeton metallico. Invece è più soave la melodia di Petru, la parte recitata e il testo. È un chiaro omaggio a mio fratello e a quello che ho vissuto in passato con lui con tutta una serie di riflessioni e rimpianti. Musicalmente, pur essendo una canzone terzinata (cosa che comincio a non tollerare più) direi che la parte tribale è come dovrebbe essere musicata in quel giardino di cui ti parlavo prima.

Stavamo dimenticando ‘Itu, un brano interamente composto da Rosario Badalamenti, e si sente, e piazzato lì non a caso. Che altro puoi aggiungere?

San Tommaso mise il dito nel costato. Voleva verificare la verità del Cristo risorto. Abbiamo immaginato che in questa scena ci fosse il contrasto tra scienza e fede. La scienza è anche tecnologia, e quindi macchine, mi sembrava appropriato sperimentarla alla maniera di Rosario Badalamenti. È mezza a cappella, e mezza alla Piccatu forse. Tutto qui.

Spesso per descrivere la tua musica ti affianchi all'arte. Per Via Lucis hai addirittura citato il Bicchiere D'Assenzio di Picasso, il Cadeau di Man Ray, ma anche L'Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, e poi il filoso Plotino. Non ti pare di esagerare per un disco semi black metal rivolto ad un pubblico di metallari?


Il tuo tono sembra offensivo nei riguardi dei metallari. In realtà non rispondo a nessuno per come sono, e fino ad oggi ritengo che tutto quello che ho scritto e detto, raggiunga la piena consapevolezza dei miei ascoltatori, almeno quelli di cui ho un contatto. Per altri può essere uno spunto per approfondire e ampliare la proprio curiosità, perché credo che l'ascoltatore di Inchiuvatu è, prima che un metallaro, un curioso della musica e della vita.

Ritornando alle opere, ti accorgerai che gli artisti hanno proposto nelle stesse la ''convivenza'' di più stili. Picasso realizzò un'opera che includeva il bronzo, un cucchiaino per l'assenzio reale, e la materia pittoria. Fino a quel momento questi materiali erano al servizio dell'arte e delle opere, ma separatamente, qui invece, per la prima volta, tutte lavorano per uno stesso risultato. Questo ''atteggiamento'' dell'artista, e dell'opera, crea un cortocircuito tra l'opera e l'osservatore. Così come il ferro da stiro di Man Ray racconta una cosa di sé ma che confligge con quello che la gente comunemente si attende da quell'oggetto. Quindi ecco come intendere Via Lucis. E' un insieme di tecniche miste al servizio di un unico racconto dove conflitto e cortocircuito musicale, apparentemente non-sense e dadaista, crea una potente comunicazione di contenuti che stimolano l'ascoltatore. E', volendo, una sorta di disco nel disco. Parte elettro-acustico, poi diventa dark, sprofonda nello sperimentalismo a cappella, creando il disorientamento a cui accennavo prima, e infine ti dice che il senso di quello che è, è oltre il disco stesso. Se sarai capace di intuirlo bene e ne godrai, altrimenti rimani nell'oscurità. Come nel caso dell'estasi di Santa Cecilia. Dio si manifesta nell'invisibile, nell'estasi appunto. Via Lucis è prima di tutto un concetto, non sarebbe neanche importante mettere play nel lettore.

In questi ultimi dieci anni, l’esperienza del progetto Agghiastru, è sempre più travalicata in quella di Inchiuvatu. E si sente distintamente in brani come Runa. Quali sono oggi le sostanziali differenze tra i due progetti? E la presenza di Rosario delimita le due parti?

È vero, i due progetti si stanno mescolando. Ma non è mia intenzione lasciarglielo fare ancora. Diciamo che in questa sperimentazione ci stava anche, ma oggi ho più chiaro cosa devo fare con uno e cosa con l’altro. Vero è che alla fine stiamo sempre parlando della mia musica, ma sto imparando a gestirmi meglio e a rispettare le mie varie nature. È chiaro che l’elemento tribale diventa importante in entrambi i progetti e, forse, Rosario mi aiuterà a non confondere le due cose.

Guardando alla discografia di Inchiuvatu, spalmata in oltre 20 anni, ci si accorge che c’è sufficiente materiale per fare concerti, acustici e metal, rielaborazioni, riedizioni eccetera. Non pensi di aver esaurito in parte il progetto Inchiuvatu?

Sì, diciamo che non ci sarebbe motivo di creare nuovi brani se volessi un repertorio che rappresenti tutto l’immaginario Inchiuvatu. Ripetersi diventa inevitabile. Questo l’ho sempre pensato. Una band metal, o prog, data la complessità o il variegato modo compositivo, finisce con l’esaurirsi entro cinque album, poi si comincia a citarsi, ci si ripete, e diventa banale, prevedibile e scontata. Allora inizia il revival. Inchiuvatu è lì per esserci. Ma voglio poter pensare di aver ancora qualcosa da dire in un quinto album ufficiale che, effettivamente, potrebbe essere l’ultimo.  Alla fine sarebbero 5 demo, 5 album e 5 EP. Non ti sembra abbastanza?

 

- marco INCH Productions staff




ASMODEUS

Come nasce Via Lucis? Quali sono i tuoi ascolti e le maggiori influenze per questo disco?

Ero alla ricerca di un suono che facesse comprendere alla prima nota che si trattasse di Inchiuvatu, cosa non sperimentata prima avvalendomi di suoni abbastanza convenzionali e banali. Ho sperimentato tanto sulla composizione, sul testo, ma non sul suono.  Queste tre categorie, formata l’unità, evidenziano anche la qualità di un musicista o una band. Sembra banale ribadirlo, ma ci sono arrivato dopo anni. Dunque, giunto a Via Matris, interamente suonato in acustico, non sapevo bene che cos’altro esplorare. Accanto al mio letto tengo sempre una parte della libreria dove tengo un libro di Picasso, un qualcosa di Pasolini e Diogene Laerzio, e fu una notte che capii che cosa cercavo in Via Lucis. Ossia la commistione totale del tutto. La fusione di tutte le sperimentazioni della pentalogia e oltre. Chiaramente per ''oltre'' s’intende la parte black a cappella. Via Lucis doveva essere un racconto musicale fatto di suoni ambient ma anche elettrificati e acustici. Doveva avere l’epica di un viaggio alla ricerca dell’illuminazione, e così è stato. Credo che ora sia chiaro a tutti che INCHIUVATU vuol dire tante cose, non certo solo un progetto black-tarantella, ma proprio nell’essere esageratamente tanto, far intravede la sua vera natura eclettica.



Via Lucis racchiude tanti aspetti del sound Inchiuvatu, dal tribalismo siculo dei primi demo/ep, tarantelle, gli elementi in acustico degli ultimi dischi per poi passare alle cose più assurde come l'elettronica o le tracce a cappella. Non ritieni difficile assimilare un disco come Via Lucis?

Ogni mio lavoro è una sfida a me stesso e a chi l’ascolterà. Pensaci bene, anche per Addisìu quando uscì mi fecero domande simili. Non era forse una sfida quella? La sperimentazione va bene, poi ovviamente un disco può essere bello o brutto. Non so dirti se Addisìu sia bello e Via Lucis brutto. Posso dirti che partono entrambi dalla stessa urgenza creativa. Guardando indietro, Via Lucis compreso, posso dire che tutto andava fatto così com’è. Il tempo poi farà il resto.


Possiamo considerare Via Lucis un disco quasi dissacrante, che vuole distruggere e smembrare del tutto il sound da Addisiu ad oggi?

Non proprio. Ho aperto una ulteriore finestra, come a voler dire che, se pur partendo da un progetto black metal consolidato, le vie di arricchimento possono essere tantissime e senza limiti. Quello che non capisco è l’ottusità di un certo mondo metallaro. Via Lucis non è un andare avanti, una evoluzione o altro. E’ semplicemente una esplorazione del tutto. Via Lucis non esclude che un giorno io posso ritornare a fare un disco alla Piccatu, pur non considerando questa opzione un passo indietro. Posso dirti che mi sento appagato dell’ampio mondo musicale generato per Inchiuvatu, ora potrei fare un mix di tutti questi anni, oppure gettare lo sguardo verso sinistra nella mia libreria e tirare fuori qualche altro testo. Per ora sto leggendo maestri spirituali e filosofi indiani.

I fan di Inchiuvatu come hanno reagito a queste ultime release? Erano  pronti a questa nuova incarnazione del progetto?

I fan più stretti hanno gradito perché hanno compreso il meccanismo. Ascoltando Via Lucis non hanno pensato: ‘ah, questo è Inchiuvatu…’ hanno pensato qualcosa come, guarda cosa si è inventato oggi, chissà domani… Ecco, questo è l’atteggiamento giusto nei riguardi di questa creatura musicale.


Sono passati 20 anni dall'uscita di Addisiu. Inchiuvatu resiste ancora e propone un CD nel 2017 sempre geniale a mai banale come Via Lucis, ritieni ancora importante fare musica in questa era dove la stessa è diventata quasi usa e getta; youtube, spotify e vari streaming?

È importante raccontare la tua storia. Avere questo privilegio con te stesso, mettendoti alla prova. Non m’importa di quel che accade nel mondo, lì fuori. Il mondo sono io, ed io lo musico a mio piacimento.

Dopo questa pentalogia cosa dobbiamo aspettarci da Inchiuvatu? Un full lenght? Altra sperimentazione?

Come vado dicendo da tempo, ho sparso qua e là per casa tutti i pezzi del proseguo di Miseria, ossia del quinto album. Ogni giorno al caffè osservo nel suo insieme il progetto, molto più simile a un disegno di architettura. Lo abbellisco e lo coloro. Al momento sulla carta funziona. Posso dirti che terrà conto di tutte le fasi storiche di Inchiuvatu: il pre-addisìu, gli album ufficiali e la pentalogia, ma sarà un capitolo nuovo, un qualcosa che non avete mai sentito da questo progetto.

CLAUS Basiliscu


Uno dei pregi di Inchiuvatu, per chi come me comprende perfettamente il tuo dialetto, è comprendere il testo. Poetica, giochi di parole, fonetica, tutto è una parte fondamentale del brano se non addirittura il brano stesso. Però in Via Lucis il cantato di Rosario, iper distorto, ha vanificato tutto rendendo incomprensibile il cantato.


Ci sono più risposte per questa tua nota. La prima è che in quel periodo dovetti occuparmi di altro e l’unico modo di finire Via Lucis era quello di affidare il cantato a Rosario, e come è noto, lui canta con gli effetti distorti. La seconda riguarda una mia impressione stilistica. Non penso che sia così incomprensibile, e poiché volevo fare il quadro di tutto quello sperimentato finora in Inchiuvatu, mi è parso idoneo utilizzare la voce che realizzò Piccatu. Questo ''atteggiamento'' inoltre è inquadrabile in quel cortocircuito necessario a dire che Via Lucis è oltre la musica stessa. E' un concetto.

Pur capendo che Via Lucis è parte di una sperimentazione generale e che va visto all’interno della Pentalogia, non capisco l’assenza totale ed estrema delle tastiere.


Sì, le tastiere possono apparire come un marchio imprescindibile del sound Inchiuvatu, ma io le ho sempre vissute come un ostacolo all’attività live. Questo perché per eseguire i brani di Inchiuvatu ci vorrebbero sul palco almeno sei elementi, il ché è impossibile. In questa fase degli EP ho provato a immaginare Inchiuvatu come un progetto più rock nel senso più ampio del termine, suonato da pochi elementi: un trio. Questo aspetto mi permetterebbe di suonare la chitarra più liberamente e, occasionalmente, qualche parte di tastiera. Ecco perché comincio a pensare al sound Inchiuvatu così diviso: quello della drammascin, quello acustico e quello dell’approccio scarno e rock della pentalogia. Ovviamente da portare live tutti e tre con modalità e tempi diversi. Ho pensato che lasciare Via Lucis senza tastiere, fosse veramente rock 'n roll.


Chi ha avuto il privilegio di vedere Inchiuvatu live nel gennaio 2011 a Torino, ed io ero tra il pubblico, ha goduto a pieno di quello che è lo spirito originario del progetto. Ossia tu, Franco Astiu, Tati alle tastiere, ma soprattutto le basi sorrette dalla drum-machine. Di fatti quello resta per me il miglior modo di rappresentare dal vivo la tua musica.

Che vuoi che ti dica. A me non entusiasma suonare con le basi, ma mi rendo conto che è l’unico modo per fare brani estratti da Viogna o Piccatu. Ecco il senso di quello che ti spiegavo prima. Le anime di Inchiuvatu sono diverse, e tutte affascinanti, anche da proporre dal vivo. E’ sperimentazione anche questa, no?

FRANCO Astiu

 

Quanto Via Lucis influenzerà il futuro di Inchiuvatu?

Questo lavoro in particolare non molto, ma tutta la pentalogia avrà un ruolo nel determinare quale sia la vera natura del sound di Inchiuvatu. Questi EP sono serviti a spingere sempre più in là la parte sperimentale del progetto, ma nel futuro c’è spazio anche per qualcosa alla Addisìu o Viogna, ma come per ogni disco di Inchiuvatu, ci sarà qualche novità che mira a stupire, non certo a conservare.

Dei suoni e degli strumenti presenti nel disco, quale ritieni il più "estremo''?

Dopo l’idea di suonare tutto in acustico il sound black metal di Via Matris, non c’è dubbio che la voce di Via Lucis sia lo strumento più estremo. Il suono della voce che mima una normale session di strumenti che suonano black metal, a cappella, è una cosa che fa sorridere, ma, nel concetto e nel risultato, è molto più estrema di una tonnellata di prevedibile distorsione di chitarra, o di una tripla cassa di batteria. Per altro già sentite in miriadi di modalita'.

Qual è il brano di Via Lucis che ti ha impegnato di più nelle registrazioni, in termini di creatività e di ricerca del suono?

Probabilmente l’apertura e la chiusura. Ossia Trionfu e Ruvina. Vedi, quando ho pensato al concept che sta dietro a Via Lucis, ho dovuto in parte tenere in considerazione gli avvenimenti della prima e dell’ultima stazione. Ma dovevo anche far capire, come in un film, cosa stesse succedendo. Il racconto prevedere un viaggio western. C’è un risorto, ma c’è subito uno smarrimento. Alla fine arriva una sorta di resa dei conti nel deserto, dove la liberazione arriva dalla separazione del corpo e della mente. Entrambe le tracce dovevano avere insieme qualcosa di apocalittico ma anche di beatificante. Comprendi bene che tradurre in musica due cose così contrastanti non era semplice, ho speso giusto un po’ di tempo in più a concentrarmi e a sentire quelle melodie che poi hanno composto i brani. Poi volevo che il suono fosse insieme elettrico e acustico, ma senza tradire una certa caratteristica black che io identifico col lato tribale.



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